I V A N M E A C C I

lo scarabeo che caccia l'aquila

mercoledì 9 febbraio 2022

UNA STORIA DEL PARADISO

DUNNE – ZA I Dunne-za, o Indiani Castoro, vivono della caccia nell’area del Peace River, a cavallo fra la British Columbia e l’Alberta. I Dunne-za credono che le storie vivano nelle vibrazioni del parlato con cui vengono descritte. Vivono nella memoria condivisa da dove le richiama il cantastorie e, anche, dove lui o lei la ripongono. L’inizio o la fine di una storia dipende dall’umore di chi la racconta e di chi l’ascolta; nella stessa maniera si seguono i canoni convenzionali della caratteristica dei vari personaggi o delle vicende. Una storia prende corpo, simultaneamente, nel tempo reale del suo narratore e nel tempo leggendario in cui accadde. “Una storia del paradiso” è l’onirica trasposizione dell’universo Dunne-za in quello della Cristianità. Una storia nata nel sogno dall’incontro fra il narratore e suo padre. Dove il padre parla della nuova strada sulla parte destra della pista che conduce in paradiso. Rimane difficile stabilire se si tratta di una versione Dunne-za del Vangelo o di una versione Cristiana dello Sciamano che Controlla le Prede. Sicuramente, l’uccello del polo a guardia della porta del paradiso, appartiene all’antica tradizione sciamanica; così, come l’immagine di Dio che lascia cadere i messaggi nei foglietti di carta, è la risposta Dunne-za all’idea Giudeo-Cristiana di scrittura. UNA STORIA DEL PARADISO Mio padre parlava di un bellissimo posto. Diceva: “Figlio mio è molto difficile andare in paradiso, specialmente se infastidisci la gente bestemmiando, o rubando, o commettendo brutte azioni; queste cose non le devi fare. Per colpa di qualcuno, che va in giro raccontando frottole, molte persone si uccidono l’uno con l’altro. Questa gentaglia, raccontando fandonie che trasformano le buone persone in cattive, mente, fa del male; confezionando storie all’occorrenza, realmente trasforma le buone persone in cattive persone. Questa gente non può andare in paradiso. Gesù, il figlio dell’uomo che ci ha fatto, sapeva che se la strada fosse stata troppo ripida sarebbe stato troppo difficile raggiungere il paradiso. Per questo, quando lo uccisero, fece una buona strada. La fece più corta; la fece più facile per agevolare il passaggio delle persone buone in paradiso. Fece questa strada nuova con parecchie curve. E’ così che Gesù fece apparire la nuova strada. Quando Gesù andò in paradiso, dopo che lo avevano ucciso, pensò che sarebbe stato molto difficile se la strada fosse stata tanto ripida. Sul lato destro della nuova strada c’è una casa. Da lì, quando ci arriviamo, possiamo vedere un posto bellissimo. Dove vive colui che tiene le chiavi della porta, che detiene le prede e controlla gli animali: alci, caribou ed ogni altra cosa che vive sulla terra. Dalla casa, Gesù, bada agli animali. Vede ogni cosa che fanno gli uomini. Nulla Gli è nascosto, qualsiasi cosa uno faccia, lo sai di cosa parlo. Non va bene se una donna mangia la carne fresca in certi periodi, perché alle alci non piace. Le alci lo sanno. Le genti delle donne che lo fanno avranno povere alci senza grasso, difficili da scovare anche nei tempi in cui abbondano. Gesù guarda giù e vede, e rende difficile la vita degli uomini che fanno così. Dio ha mandato Gesù in questo mondo per sorvegliare la gente. Ed è per questo che Gesù fa così. In questo mondo, alla stessa maniera della piccola gente che vive nelle grotte di montagna, Gesù sorveglia gli uomini. Quella gente, simile a Gesù, vive sul lato destro della via del paradiso. Anche le alci sono così. Lo sanno cosa fa la gente della loro carne. La gente che tratta bene la loro carne non incontrerà alcuna difficoltà. Questo tipo di persone che si prendono cura della loro carne: quelle dove le donne che non dovrebbero mangiare carne fresca se ne stanno lontano dalla carne fresca mangiando la carne secca, uccideranno gli alci grassi e buoni da mangiare. Questo è il regalo di Gesù per aver trattato bene la carne. Dentro la casa, sul lato destro della strada per il paradiso, Gesù spartisce cose molto belle. Sul lato della casa, appollaiato in cima ad una pertica, c’è un uccello che osserva i morti di questo mondo mentre attraversano la porta. Lui, appena sono passati, comincia a cantare per dargli il felice benvenuto. Gli da un bellissimo benvenuto. Quando l’uccello incomincia a cantare lo sentono anche sopra in paradiso; e dicono: “Qualcuno sta arrivando; quell’uccello dice che qualcuno sta arrivando”, loro lo dicono. Mio padre parla così, quando racconta le storie sul paradiso. Mio padre parla così. Mio padre parla così. Dio, prima, fece il mondo. E’ così bello e potente che nessuno lo può guardare. Ci sono case grandi come città; case così belle che, qualche volta, anche la gente del paradiso prova timore ad entrarci. Dio le ha fatte per la gente buona. Ma, Dio, non abita neanche lì. Lui ha un posto solo per Lui stesso, più in su della cima del paradiso. E’ talmente bello che nessuno può guardarlo. E’ al di sopra delle persone che vanno in paradiso. Quando vede che qualcosa non va bene, scrive su un foglio e lo lascia cadere; viene raccolto, e Gesù spiega alla gente come si deve fare. Questa è la maniera che il Padre parla al Figlio, quando vuole che sia fatto come dice Lui. (Non può andarci di persona perché Lui è troppo bello.) Mio padre è solito parlare così. Quando una persona appare in paradiso, questa persona viene trasformata in una nuova persona. Gesù arriva in un lago bellissimo. Lui è come il Padre, lava la persona nel lago con le sue bellissime mani. Tutti vengono lavati nel lago, e diventano come gli uomini bianchi. In questo mondo gli indiani appaiono poveri. Lo sai come sono gli indiani. Ma in paradiso sono le persone più belle, proprio come quelle donne bianche nei giornali. Proprio come quelle donne bianche nei giornali. Gesù ti mostra tante fotografie di facce diverse. Tu scegli quella a cui vuoi assomigliare, ed anche i capelli. Nessuno, in paradiso, ha lo stesso colore di capelli. Del tipo di capelli che hai scelto, del tipo di faccia che hai scelto: tu sarai esattamente in quel modo. Dopo che hai scelto la faccia e i capelli Lui ti porterà in un’altra camera per scegliere i vestiti, i vestiti più belli che avrai mai visto. Mai più, dopo che ti sarai vestito, sarai il povero indiano che eri in questo mondo. Dopo questo, quando sarai pronto, Lui ti manderà dai tuoi parenti. Mai più, per te, ci saranno tempi brutti o dispiaceri. Sarai sempre felice. Per questo vi diciamo di essere buoni. I giovani pensano che si muore per sempre, ma non è così. Solo le persone cattive muoiono senza vedere la strada del paradiso. Quando muore una persona buona la sua anima va in paradiso, va dalla terra al paradiso attraversando la parte in mezzo. Si va in paradiso, quando si lascia per sempre questo mondo. L’anima parte nello stesso minuto in cui una persona muore, non ce la fa ad aspettare. Vede la buona strada del paradiso. E va nel bellissimo paese lì sopra. Per questo diciamo ai giovani di essere buoni. Per voi cattivi sarà dura. Mio padre parlava così. Ed è così.

LA CANZONE DEGLI ATKAN ALEUTS

ATKAN ALEUTS Il cantante e danzatore, in questa canzone Atkan, con la modestia di chi vuole diventare un cacciatore, descrive il fallimento della sua solitaria battuta di caccia col kayak. Ha inseguito un leone di mare e sta mestamente ritornando indietro ma, quando sente i tamburi che annunciano le danze di una festa, torna ad esprimere la sua gioia. Poi, appena ritornato, smette di cantare. E, quando quelli del cerchio seduti davanti a lui ricominciano a suonare il tamburo e a cantare, anche lui ritorna a ballare ed a comportarsi da cacciatore. LA CANZONE DEGLI ATKAN ALEUTS Furtivamente, senza dirlo a nessuno, oggi sono uscito con il mio kayak. Remando da solo, guardandomi intorno, ho visto un animale, un leone di mare emergere gagliardo; ho smesso di remare e, di fronte a quanto accadeva, ho iniziato a pensare. Ho pensato che, in un caso così, avrebbe fatto bene anche il peggior fannullone. Ho deciso di tirarlo fuori e, afferrata la lancia che tengo sulla poppa del kayak, l’ho sguainata e puntata dritta. Mi sono avvicinato, remando piano, è l’ho colpito ma non abbastanza forte da infilarlo. Nel panico è schizzato via. L’ho inseguito remando, l’ho colpito e ricolpito ma col solo risultato di spuntare la mia lancia. Purtroppo ero uscito in segreto per non farmi vedere da nessuno, ho guardato intorno per cercare qualcuno fino a che mi è venuto da piangere, se ci fosse stato qualcuno con cui piangere. Sono rimasto fermo lì per un po’, poi ho cominciato a remare indietro, e quando ho attraccato, ritornato da colui che amo sopra a tutto e che è anche l’assistente del mio spirito: il tamburo, ho cercato di ascoltare attentamente, ma non ho sentito. Ma – quando ho immaginato di ritrovarti – lì eri! Prendi il tamburo, spalanca la bocca e canta, ora!

IL MITO DEL SOLE

KATHLAMET CHINOOK La narrativa Kathlamet non racconta la nascita ma la fine del mondo. Colui che arriva al sole è un prosperoso capo che, anche se non in seguito ad una cerimonia ufficiale, è accettato come genero e, generosamente, gli vengono offerti un’infinità di doni. Si pensa che questa storia sia la riflessione ad un’improvvisa catastrofe scaturita da un terribile contagio. Un desiderio di potere, a scapito della gente, che riflette la bramosia di ottenere e monopolizzare il controllo dei beni necessari, controllo arrivato alla foce del fiume Columbia con i bianchi. Lo stereotipo del “mitico carattere naturale”, presumibilmente, era stato ispirato ai Nativi dallo sbalorditivo senso di possesso innato nei bianchi. La distruzione è la conseguenza delle trasgressioni nelle relazioni con i provvidenziali, grandi poteri del mondo. IL MITO DEL SOLE In un luogo lontano sorgeva una grande città, una città composta da cinque città minori. Un solo uomo governava sull’unica stirpe che abitava questo regno. L’uomo era solito uscire Alle prime luci del mattino Per ammirare, immobile, il sorgere del sole Un giorno l’uomo disse a sua moglie: “E se andassi in cerca della luce che fa splendere il sole?” “Tu pensi che sia così vicina da poterci arrivare? E vuoi dirigerti verso il sole?” Gli rispose la moglie Il giorno dopo All’alba L’uomo uscì dalla sua casa E vide ancora una volta il sorgere del sole Alla prima luce che sembrava giungere Proprio da quella direzione Chiamò sua moglie e disse: “Mi confezionerai 10 paia di mocassini e dei gambali per dieci persone”. La moglie obbedì Cucì mocassini per dieci persone Ed altrettanti gambali Il giorno dopo, all’alba Lui partì per quello che si prospettava essere un lungo viaggio E infatti camminò utilizzando tutti i mocassini Ed i gambali che aveva Camminò per cinque mesi E consumò cinque paia di mocassini E cinque di gambali E camminò ancora Per altri cinque mesi Mettendo fine alle sue scorte di mocassini e di sandali Infine giunse nel luogo da cui lei si diffondeva; arrivò proprio dove sembrava si trovasse la fonte Della luce del sole. E lì lui vide una casa Aprì la porta ed entrò In quella casa c’era una ragazza E lui si fermò con lei. In un angolo di quella abitazione L’uomo vide appese alle pareti Frecce, faretre cariche di frecce, corazze di pelle di alce corazze di legno scudi, asce, clave da guerra, monili piumati. Tutti questi oggetti del corredo di un guerriero Erano appesi in quell’angolo della casa Sulla parete opposta Facevano mostra di sé Coperte di pelle di capra di montagna Coperte di alce dipinte Pelli di bufalo Vestiti di pelle rivoltata Denti lunghi, collane di conchiglie Denti corti Infine, vicino alla porta C’era appeso qualcosa Ma lui non capì bene cosa fosse L’uomo chiese alla ragazza “Chi è il proprietario di quelle faretre?” “Sono della madre di mio padre Lei le custodisce per quando sarò pronta” “E di chi sono le corazze di pelle di alce e le frecce?” “Sono della madre di mio padre. Lei le custodisce in attesa del tempo in cui io sarò pronta” “E le corazze di legno, gli scudi, le clave di osso e le asce, di chi sono?” “Sono della madre di mio padre, e miei”. Poi volgendo lo sguardo verso l’altra parete l’uomo chiese ancora: “Chi è il proprietario di quelle pelli di bufalo, delle coperte di capra di montagna, di quei vestiti di pelle rivoltata?” “Sono nostre, le custodisce la madre di mio padre in attesa del tempo in cui io sarò matura”. Lui domandò di tutti quegli oggetti Chi ne fosse il proprietario Ed infine pensò “Io prenderò questa donna” Scesa la notte l’anziana donna tornò a casa attaccò al muro un’altra cosa una cosa che risplendeva, accecante. Era quella la luce che stava cercando e che lui voleva per sé. L’uomo decise di fermarsi in quella casa Ci rimase per tanto tempo Con la giovane donna. La vecchia andava via ancora prima dell’alba E tornava a casa dopo il tramonto Ogni giorno riportava diversi oggetti, a volte frecce, a volte pelli, a volte corazze. Ogni giorno. Trascorse tanto tempo E l’uomo cominciò a sentire nostalgia di casa Rimase a letto due giorni e due notti Senza alzarsi. La vecchia disse alla nipote: “Avete litigato e lui si è offeso?” “Non abbiamo litigato E’ solo che lui sente nostalgia di casa” Allora la vecchia disse all’uomo: “Cosa desideri portare con te quando tornerai a casa? La pelle di bufalo?” Lui rispose: “No” “Porterai via le coperte di capra di montagna?” “No” “Vorresti forse le corazze di pelle di alce?” “No”. Invano l’anziana donna gli mostrò gli oggetti che si accatastavano in quella parte della stanza Gli offrì tutto quello che aveva, ma lui voleva solo quella cosa… Quella cosa unica Tenuta lontano dalle altre Quando porterà via con sé quella cosa conservata lontano dalle altre lui sarà libero di andarsene E vagherà per il mondo Fino a quando i suoi occhi potranno vedere. Lui voleva a tutti i costi la fonte di quella luce che acceca il cui splendore si irradia dappertutto Lui non desiderava altro. L’uomo, decise di parlarne con la compagna “Quella donna deve darmi solo una cosa: il suo mantello” Lei rispose: “Non te lo darà mai. In tanti le hanno chiesto di scambiarlo con cose preziosissime Ma lei non l’ha mai fatto” L’uomo si infuriò E si mise a letto E non si alzò per diversi giorni La compagna allora tornò ad offrirgli tutte le cose che possedeva Gli mostrò tutti gli oggetti degni di un guerriero che si trovavano ammucchiati in quell’angolo della stanza Invano, lo implorò di scegliere tra quelle cose Poi, in silenzio scoraggiata e stanca si diresse verso quella cosa tenuta da parte Si avvicinò a quel mantello e disse solamente “Lo vuoi? Prendilo! Ma fai attenzione! E ricorda che sei stato tu a volerlo Io ho cercato di darti tutto l’amore che potevo Non avrei potuto fare altro, dal momento che ti amo. Prese il mantello E l’appoggiò sulle spalle del marito Poi gli consegnò un’ascia di pietra E gli disse “Ora puoi tornartene a casa” E lui se ne andò tornò sui suoi passi non si fermò in nessun altro posto. Arrivò nella città governata dal fratello di suo padre. E quella cosa che aveva sulle spalle cominciò a prendere vita Quella cosa che tanto aveva desiderato, parlò “Noi due colpiremo la tua città Noi due colpiremo la tua città”. Disse quel mantello che lui aveva tanto desiderato. La sua ragione non riuscì ad opporsi Fu come spazzata via E lui espugnò, distrusse, rase al suolo, la città del fratello di suo padre E ne uccise tutti gli abitanti Dopo essere ritornato in sé vide tutta la devastazione da lui stesso portata Vide le sue mani insanguinate E gridò “Sono pazzo. Ora mi accorgo di cosa realmente sia questa cosa! Perché mai l’ho desiderata tanto?” L’uomo allora cercò di togliersi di dosso quella cosa Senza però riuscirci. Sembrava che quel mantello gli si fosse attaccato alla pelle. L’uomo non poté fare altro che riprendere il suo cammino E percorse un altro tratto di strada Giunse nella città governata da un altro fratello del padre Nuovamente egli perse la ragione E nuovamente quella cosa parlò “Noi due colpiremo la tua città Noi due colpiremo la tua città” Invano l’uomo cercò di zittirla Quella cosa non tacque mai Invano cercò di strapparsela di dosso per buttarla via La sua mente tornò ad annebbiarsi E lui distrusse la città dell’altro fratello di suo padre Come aveva già fatto con quella precedente. Quando tornò in sé La città del fratello di suo padre Era distrutta, sparita La gente era tutta morta Lui pianse Invano cercò di passare tra due tronchi per tentare di sfilarsi di dosso quel mantello Quella cosa non si levava Rimaneva appiccicata al suo corpo come una seconda pelle Tentò anche di colpire quella coperta con dei sassi, scagliandoseli addosso Ma si accorse che quella cosa non poteva essere distrutta Allora lui riprese il suo cammino Ed arrivò nella città di un altro fratello di suo padre La cosa che aveva voluto per sé si rianimò ancora “Noi due colpiremo la tua città Noi due compiremo la tua città” Fu nuovamente accecato E distrusse anche questa città dell’altro fratello di suo padre Come aveva fatto nelle due città precedenti Distruzione, distruzione, distruzione, distruzione. Ritornò in sé, come era sempre accaduto E pianse, ancora E si addolorò per la fine che lui stesso aveva dato ai suoi parenti. Per strapparsi di dosso quel mantello tentò di gettarsi in acqua ma non c’era modo di liberarsi di quella cosa Invano si rotolò tra gli arbusti spinosi Tentando di strappare e fare a brandelli quella cosa Continuò a colpirsi con sassi sempre più grossi Fino a che non perse le speranze E la disperazione lo assalì Non poteva fare altro che riprendere il cammino Fino a che giunse in un’altra città La città di un altro fratello di suo padre Il mantello prese vita sulle sue spalle “Noi due colpiremo la tua città Noi due colpiremo la tua città” Lui perse la ragione E portò in quella città ancora distruzione, distruzione, distruzione, distruzione E morte Tornò in sé quando non c’era più anima viva nella città E lui era sudicio di sangue Nelle braccia e nelle mani “Qa, qa, qa, qa” il suo corpo era tutto lamento e disperazione. Provò ancora a scagliarsi contro le rocce Ma quella cosa non si strappava né si rompeva Lui voleva liberarsi di ciò che prima aveva tanto desiderato Ma quella cosa restava “impigliata” tra le sue dita Il suo cammino riprese, doloroso Adesso era vicino alla sua stessa città Sapendo già il destino che l’attendeva Lui cercò di fermarsi, di non proseguire Ma quella cosa sembrava tirarlo per i piedi proprio in quella direzione Una volta vicino alla meta La sua mente si offuscò E lui distrusse, annientò, rase al suolo La sua stessa città Uccise tutti i suoi parenti Quando ritornò in sé La sua città era sparita Dove prima si ergevano le case I morti ricoprivano la terra I suoi lamenti e la sua disperazione Riempirono l’aria “Qa, qa, qa, qa”. Si buttò nel fiume Tentando, ancora, di liberarsi di quella cosa Ma non ottenne alcun risultato Addirittura arrivò a gettarsi da un dirupo roccioso Pensando, sperando “magari cadendo mi riduco in mille pezzi” ma restò vivo e incolume come la cosa che aveva addosso Senza più speranza di liberazione da quel mantello non faceva che piangere attanagliato dalla disperazione. Poi, improvvisamente, guardandosi alle spalle Vide che c’era lei, la vecchia “Tu” gli disse la donna “invano ho cercato di dimostrarti il mio amore per te e per la tua gente. Perché, dunque, adesso piangi? Tutto è dipeso da te Tu hai voluto portarti via il mio mantello”. Lei tolse dalle spalle dell’uomo ciò che le apparteneva E se lo portò via Semplicemente lo lasciò lì da solo E se ne tornò a casa Lui rimase lì Poco lontano da dove si ergeva un tempo la sua città E si costruì una casa Una piccola casa.

Stella Della Sera

KURUK La tribù Kuruk (o Karok) vive nella parte alta del fiume Klamat (N/O California). Con gli Yurok e gli Hupa, per quanto la lingua Kuruk non abbia relazioni con le altre due, esprimono l’identità culturale che caratterizza questa area. La letteratura orale tradizionale di questa regione, in larga parte, consiste in miti ambientati in un tempo antico, precedente all’esistenza degli esseri umani. I personaggi dei miti sono persone/spiriti (ikxarèeyav), molti dei quali hanno nomi come Coyote, Orso e Cervo. Queste leggende finiscono regolarmente con l’affermazione che la vita degli esseri umani che devono ancora arrivare ad esistere sarà esattamente come sta ordinando la persona/spirito. A dimostrazione, dopo aver fornito il salmone e il granturco, Coyote afferma che gli uomini vivranno di loro. Alla fine della storia molti spiriti/persone sono trasformati nel primo esemplare della specie animale come la conosciamo oggi; gli altri rimangono nel mondo intangibile. I Kuruk si rivolgono alle persone/spiriti quando hanno bisogno dei loro favori. Per tanto, per esempio, prima che un cacciatore salga in montagna, fa una medicina chiedendo allo stesso Cervo il permesso di poterlo uccidere. Le “formule” più comuni sono preghiere e canzoni imparate dai familiari più anziani, e sono considerate proprietà preziose da tenere segrete. Il materiale cantato della formula è, generalmente, molto breve. Qualche volta è composto soltanto da “parole canzoni”, vocaboli senza significato e comparabili all’italiano: tra-la-la. Altre consistono in poche frasi corte ma ripetute diverse volte. Le canzoni d’amore (chiihvìichva) come Evening Star sono, nei fatti, una forma di medicina d’amore: formule magiche per attirare la persona amata. Stella Della Sera Stella Della Sera viveva lì, insieme al suo amore. E, per tanto tempo, vissero felici. Ma, un giorno, bisticciarono, oh, si azzuffarono, bisticciarono. E lui tornò a casa, Stella Della Sera se ne andò. Andò lontano. E, alla fine, se ne andò in giro, in giro per tutto il mondo. E la donna pensò, “Oh, amore mio! Come potrò rivederti, mio dolce cuore?” Oh, si sentiva sola, si lasciò cadere sul gradino della porta. “Oh, come sono sola! Oh, in che modo m’ha lasciato!” Pensava. E, così, il giorno dopo, alla sera, si rilasciò cadere. “Cosa posso fare?” E pensò, “Dovrei fare una canzone, così lo potrò rivedere, il mio amore.” Il giorno dopo ancora, tornò a lasciarsi cadere sul gradino. E cantò una canzone, sperando, “Lo rivedrò ancora.” Ii ii ii iiya aa ii ii iiya aa ii ii iiya oh, m’hai lasciato oh, amor mio Oh, sono sola oh, per un bisticcio oh, amor mio oh, Stella Della Sera oh, ina ina Oh, m’hai lasciato oh, per un bisticcio oh, amor mio oh, amor mio oh, amor mio Se andrai allo sbocco ina della fine della terra io andrò oltre la fine e capirai inaa oh, amor mio Oh, di stare insieme oh, stare insieme oh, amor mio oh, sono sola oh, amor mio e capirai ina oh, amore mio oh, per un bisticcio te ne sei andato alla fine della terra senza più una casa devi girare intorno fino al centro della terra qui rotoleremo insieme sul tuo petto rotoleremo insieme Oh, amor mio oh, Stella Della Sera oh, Stella Della Sera capirai ina quando gli Uomini verranno lo faranno anche loro se anche v’azzuffate tu e il tuo amore trovate la mia canzone e capirete ina di stare insieme io ve l’ho insegnato ina oh, amor mio Quando lei aveva finito, di cantare al suo amore, Stella Della Sera capì: “Oh, sono solo, penso solo al mio amore, la devo ritrovare!” Aveva perso il cuore, ma lo ritroverà. Qui nel centro della terra, s’incontrarono ancora, e lui ritrovò il cuore quando Stella Della Sera e il suo amore tornarono insieme. E lei parlò così la donna lo disse, “Quando gli Uomini verranno, se una donna sarà lasciata, ritroverà il suo lui, con la mia canzone. Ritornerà da lì, fosse andato fino alla fine del mondo.” E Stella Della Sera fu trasformato in una grande stella del cielo.

Canzone d'addio

HAVASUPAIS Gli Havasupais sono una piccola tribù del Gran Canyon (Arizona) che vive in una lussureggiante oasi di spettacolare bellezza e colori. La Canzone d’Addio illustra il loro amore per la terra. Le Canzoni dei Vecchi e delle Vecchie (genere della canzone) sono composte per esprimere le più sentite e profonde emozioni. Possono essere canzoni d’amore, di rabbia, o di orgoglio nei riguardi di un familiare. Sono quasi sempre dirette ad una certa persona ma alcune, come questa, sono dedicate alla terra. Gli Havasupais, tradizionalmente, non parlano delle loro emozioni ma le cantano. La Canzone d’Addio esprime la convinzione dei giovani di essere immortali, e mostra il profondo disappunto dei vecchi che comprendono la falsità di questa credenza. E, pure con maggiore forza, comunica la certezza che la terra sia un essere vivente che ha una stretta e amorevole relazione con gli umani. Gli Havasupais credono che la terra provi sensazioni e, per questo, quando si spostano spiegano alla terra chi sono, perché sono lì, e dove stanno andando. Credono che la terra sappia quando ci siamo sopra e che gli manchiamo quando andiamo via. La diffusissima pratica di piantare sul terreno dei bastoncini, quando arriva la primavera, è figlia di questa convinzione. CANZONE DI ADDIO Sorgente che mi davi da bere Terra che ho calpestato Dove sono nato Ascoltami E dimenticami Mi sentivo eterno Credevo di vivere per sempre Ne ero convinto Credevo di restare giovane per sempre Ma oggi le forze m’hanno abbandonato Pensavo di stare per sempre così Ero così Ma oggi le forze m’hanno abbandonato Terre che ho visitato Quel posto Ascoltami E dimenticami Prede brade Che cacciavo Pensavo di stare per sempre così Sarei stato per sempre così Ma oggi le forze m’hanno abbandonato Io ero così Io ero Io ero Macchia d’arbusti Quel posto Ti giravo intorno correndo ascoltami E dimenticami Dimenticami Tronchi caduti Vi saltavo sopra Quel posto Ascoltami e dimenticami Piccoli sassi C’incespicavo Quel posto Ascoltami e dimenticami Sentiero lì disteso che una volta seguivo una volta seguivo Quel posto Ascoltami E dimenticami dimenticami Torrente Torrente Ti saltavo al volo Quel posto Ascoltami Ascoltami e dimenticami Altissime colline Altissime colline quel posto correvo in cima Quel posto Ascoltami e dimenticami Correvo in cima alla cima Mi fermavo lì guardavo lontano Quel posto Ascoltami E dimenticami dimenticami Lepre lontana giovane marrone Balzavi dal rifugio Balzava dal rifugio L’inseguivo l’inseguivo Subito addosso l’arrivavo al lato questo facevo Col bastone da caccia il mio L’uncinavo l’afferravo l’arrostivo arrostivo e mangiavo Pensavo di vivere per sempre pensavo di viaggiare per sempre Sembrava esser così ma oggi le forze m’hanno abbandonato Antilope lontano Antilope lontano giovane Balzavi dal rifugio Balzava all’improvviso Partiva L’inseguivo Subito addosso l’arrivavo al lato questo facevo Col bastone da caccia il mio L’uncinavo l’afferravo L’arrostivo e mangiavo Pensavo di vivere per sempre pensavo di viaggiare per sempre pensavo fosse per sempre così sembrava Ma oggi le forze m’hanno abbandonato Terre che ho visitato Quel posto Ascoltami e dimenticami E’ questo che chiedo Che chiedo Oh! Terre che ho visitato Quel posto Ascoltami Pensavo fosse per sempre così io ero così Ma non era vero Pensavo fosse così per sempre ma non era vero Pensavo fosse così per sempre ma oggi le forze m’hanno abbandonato Pensavo fosse così per sempre Pelli di cervo le mie le appendevo sul ginepro l’albero coprivo Le guardavo Mi sentivo così fiero Pelli di cervo le mie le appendevo sui ginepri Due alberi coprivo Tre alberi coprivo Le guardavo Mi sentivo così fiero Pensavo fosse così per sempre Pensavo fosse per sempre così ma oggi le forze m’hanno abbandonato Pensavo fosse per sempre così Io ero così io ero Pensavo di vivere per sempre pensavo di viaggiare per sempre io ero così Sarei rimasto sulla terra sembrava Che così fosse Ma oggi le forze m’hanno abbandonato Il cielo sopra a me sembrava restarci per sempre sembrava Pensavo fosse per sempre così ma oggi le forze m’hanno abbandonato Ascoltami e dimenticami Dimenticami Oggi le forze m’hanno abbandonato Pensavo fosse per sempre così Io ero così io ero La fonte Arrivavo M’inchinavo al posto per bere per bere sempre quel posto ascoltami E dimenticami dimenticami Buco dipinto dall’acqua sulla roccia arrivavo M’inginocchiavo Quel posto Dimenticami dimenticami Il sole sopra le colline Lo guardavo calare Poi cominciavo a correre cominciavo a correre Io ero così Non andavo piano Questo non lo facevo Non ero così Non ero così Io correvo veloce correvo veloce Io rincasavo veloce rincasavo veloce Io sorpassavo il sole Sorpassavo il sole Questo facevo Io ero così Non dormivo fino a tardi non aspettavo il sole Questo non lo facevo Non ero così Non ero così Alba quando arrivavi io ti vedevo M’alzavo M’alzavo Ti venivo incontro Pensavo fosse così per sempre è così che viaggiavo Pensavo fosse per sempre così ma oggi le forze m’hanno abbandonato Pensavo fosse per sempre così io ero così Ascoltami Terre che ho visitato quel posto ascoltami e dimenticami dimenticami E’ questo che chiedo che chiedo La forza m’ha abbandonato Pensavo fosse per sempre così io ero così Pensavo di vivere per sempre Pensavo di vivere per sempre Sarei rimasto sulla terra sembrava Sarei restato sulle montagne sembrava io ero così credevo così Mi sentivo così fiero Pensavo fosse per sempre così Ma oggi le forze m’hanno abbandonato Pensavo fosse per sempre così Io ero così io ero

LA CANZONE DEL CAVALLO

NAVAJO Fra le centinaia di canzoni Navajo trascritte, questa cerimonia di benedizione, si distingue per la grande varietà di metafore usate che, nella poetica dei Nativi Americani, è alquanto inusuale. La cerimonia viene celebrata per garantirsi una grazia, la buona fortuna, la prosperità, o l’incremento dei beni vitali – i cavalli sono il simbolo di questi desiderati fini. Una benedizione che si può fare quando si inaugura una nuova casa, quando si parte per un viaggio, quando si aspetta un bambino, o nell’esigenza di un rinnovamento fisico o spirituale. Può essere usata per la “ricarica di potere” di un gruppo di strumenti cerimoniali. Le Canzoni del Cavallo non sono parte di tutte le cerimonie per le richieste di grazie ma, principalmente, di quelle che includono i viaggi, i beni necessari, o la salute. La Canzone del Cavallo del Dio della Guerra, nel suo titolo originario, è una delle canzoni Navajo più tradotte e pubblicate in America. Alla fine di ogni canzone è riportata la spiegazione che ne dava la voce narrante. LA CANZONE DEL CAVALLO He-neye yana, Con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Donna Conchiglia Bianca, na, il suo bambino, perché è questo che sono, na, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Portatore Del Disco Del Giorno, ye, suo figlio, ’e, perché è questo che sono, na, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Ragazzo Turchese, perché è questo che sono, na, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. L’arcobaleno, iye, dov’è blu, wo, sono lì, iye, ora, lì sopra dove s’inarca, ora, dove tocca la terra, yiye, questa parte più vicina, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Questo significa, “lì sopra dove s’inarca l’arcobaleno, dove finisce con il blu, poco lontano dalla fine, loro mi stanno chiamando”. La madre gli ha detto che quel suono è un cavallo. Lui aveva chiesto: “Cos’è questo suono? E’ qualcosa di male che viene dalle battaglie che ho combattuto recentemente?” Lei aveva risposto: “No, questo è il suono dei cavalli che arriva da dove vive tuo padre”. Lui stava andando a casa di suo padre. La strada sull’arcobaleno finiva sul posto dove era la casa del Sole. Lì, probabilmente, prima che raggiungesse la fine aveva sentito i cavalli. Ragazzo in Piedi Fra il Portatore Del Disco Del Sole, ye, i suoi cavalli, i’e, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Il Ragazzo Fra Sole In Piedi e i suoi cavalli: sta parlando dell’altro fratello, il figlio del Sole che vive la sopra. Perché i cavalli vengono da lì, Ammazza Nemici sente i suoi cavalli. I cavalli del figlio del Sole mi stanno chiamando. Il figlio del Sole, i suoi cavalli lo stanno chiamando. “In Piedi Fra” si rivolge a sua madre. Il figlio del Sole, il discendente del Sole, i suoi cavalli mi stanno chiamando. I cavalli turchesi, quelli sono i miei cavalli, i’e, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. I suoi zoccoli, scuro, iye, brocche per l’acqua, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. La piccola brocca d’acqua è fatta con il suo piede. Si riferisce agli zoccoli. Le rane dei sottozoccoli, ye, punte per le frecce, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Qui si riferisce alla punta della freccia intagliata dallo zoccolo, dalla parte di sotto. Gli zoccoli striati, ihiye, pietre miraggio, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. I suoi zoccoli erano pietre miraggio. Dalle gambe davanti, scuro, iye, il vento, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Vuol dire in movimento, correndo veloce. Le sue gambe sono come zigzaganti fulmini. Sotto la coda, scuro, iye, ombra di nuvole, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Questo significa l’ombra nera nel cielo che scende dalle nuvole. Dal suo corpo, ogni tessuto, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. E’ ricoperto, scuro, i, di nuvole, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Vuol dire la loro pelle. Sul suo corpo, rosso, jiye, sono sparse le fiammate del sole, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. “Le fiammate del sole, rosso”-vuol dire piccoli pezzi di arcobaleno. “Sono sparse sul suo corpo”- le scintille che vedi la notte sul pelo del cavallo. Portatore Del Disco Del Sole, yeye, ’eye, risplende su loro da prima di loro, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Lontano laggiù, il sole sale davanti a loro e splende su i loro peli. La groppa, iye, la nuova luna, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. La coda, iye, i raggi di sole, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Le redini, iye, l’arcobaleno, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Quando partono, iye, con l’arcobaleno, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. L’arcobaleno è l’energia che li fa partire velocemente, come la batteria di un’automobile. La criniera scorre, scura, diye, come pioggia copiosa, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Le orecchie, iye, come germogli, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Significa che le loro orecchie crescono verso l’alto come le piante. Gli occhi, scuri, iye, grandi stelle, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Poiché le stelle di notte brillano chiare i cavalli possono ritrovare la loro casa anche nell’oscurità. Sulla faccia, iye, acqua di ogni sorta, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Acqua di sorgente o fiume, che arriva dalla terra. A volte dolce, a volte salata: mischiata con tutti i colori. I cavalli, in ogni luogo, bevono ogni sorta di acqua e, se non è avvelenata, non gli fa male. Se è coperta da uno strato di polvere, la soffiano via. Nello stesso modo, per non inghiottire niente di sporco o di nocivo, soffiano sulla polvere che ricopre l’erba che si apprestano a mangiare. Il segno di questo è la spirale che hanno sulla faccia. E’ il segno di riconoscimento della completezza dell’essere cavallo. Qui sta il bandolo della matassa. Possono mangiare spini, non gli faranno male, o insetti velenosi, non gli faranno male. Mangiano il polline dei fiori più belli cresciuti con le acque più diverse. Le labbra, wheye, grandi conchiglie, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Si riferisce alle grandi conchiglie che hanno labbra e punti come denti. I denti, bianchi, ye, conchiglie, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. I suoi denti erano conchiglie. I nitriti sono fiaccole di fulmini, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. I fulmini furono messi nelle loro bocche per mordere. I morsi dei cavalli fanno male. Parlano precisi come fulmini. Dalle bocche, scure, iye, risuona musica, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Si riferisce agli strumenti musicali. A quando si fa musica che si porta lo strumento alla bocca. Perché, quando i cavalli furono creati, scuro, nelle loro bocche ci misero quelli che fanno la musica. Dalle loro bocche, iye, risuona l’alba, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Le loro voci, he, paiono scuro, ora mi raggiungono, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Dalla bocca, iye, all’alba si spande il polline, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Ogni nuova cosa comincia con l’inizio dell’alba. Il cavallo riceve nuova aria dentro la bocca per respirare e suonare con il polline creato all’alba. E’ come quando impari qualcosa; ce l’hai in mente e poi lo usi, e con quello insegni agli altri. Il cavallo non sa quando è stanco o assonnato – non sono fatti come noi. Qualsiasi cosa fosse, quello che gli fu messo in bocca, è quello che non gli fa sentire la stanchezza. Gli è stato messo in bocca perché arrivasse subito alla mente, così non può dimenticarlo. Polline e rugiada stesi nella bacca, sacro, ye, con i fiori, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Tutti mangiamo tanto di quel cibo che ci piace. I cavalli avranno sempre tanta vegetazione da mangiare: fiori, polline e rugiada. Significa che piante ed acqua ci saranno sempre e, per questo, i cavalli vivranno per sempre. Per questo mangiano ogni sorta di fiori, di polline e d’ acqua. Le sue redini, iye, i raggi del sole, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Ora! Bellamente alla mia mano, e, al mio braccio destro, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Questo significa che in nessun modo, in futuro, si potrà far male ai cavalli; staranno sempre bene. Ora! diventano i miei cavalli, ye, da questo giorno, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Ed è lo stesso per me. Oggi diveniamo alleati, ed io sarò il vincitore. Mai più diminuiranno, ora! si moltiplicheranno, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. I miei cavalli, ora per sempre ritornati a lunga vita e quindi sacri, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. Da quando io, ora me medesimo, sono il Ragazzo per Sempre Ritornato a Lunga Vita e Quindi Sacro, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana. con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, yehe, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, ne’eya!

COYOTE

NAVAJO Le storie Navajo su Coyote sono raccontate ai bambini durante le serate invernali perché, si dice, che le creature più pericolose, come ad esempio i serpenti, le lucertole e gli orsi, durante l’inverno vadano in ibernazione; avranno la scintilla col primo temporale primaverile. Coyote è una delle figure mitologiche della cultura Navajo. E’ considerato un semi-Dio e, per questo, serve come messaggero fra le divinità e i Dinè (Gente Navajo). Gli Uomini della Medicina raccontano storie che, comunemente, si riferiscono a cose dette o fatte da Coyote all’inizio di questo mondo (il 5° Mondo), o in uno dei precedenti quattro. Molte di queste storie si riferiscono alle primogeniture di Coyote su certi tipi di comportamento – buoni o cattivi - che gli umani praticano in questo mondo. Quando sta per accadere qualcosa di disdicevole, si dice, che Coyote mandi un segnale di avvertimento, magari interferendo nell’armonia della vita quotidiana della probabile vittima attraversandogli la strada. In altri casi, i suoi precedenti, vengono portati ad esempio come comportamenti da non seguire. Per esempio: Coyote ha rapito il figlio del Mostruoso Essere dell’Acqua perché era rimasto attratto dalla sua tenerezza; dunque: il rapimento è un’azione spregevole perché è stato Coyote il primo a rapire un altro essere vivente. In principio c’era il Mondo Nero … una massa buia e confusa. Poi, all’inizio, arrivarono le divinità: Primo Uomo e Prima Donna. Arrivarono dai quattro mondi e, Coyote, li ha accompagnati dal primo momento ad oggi. COYOTE Fu proprio Coyote a mettere una o due pecore in ogni cortile Navajo. E proprio perché fu lui a metterle… da allora… lui si sente nel giusto se ne ruba una o due per sfamarsi. Questa è la regola… dal tempo dei tempi! Così è detto! Ma prima che si comprendesse che questa era la legge, tanto, tanto tempo fa, all’inizio del tempo, la gente mostrò poca tolleranza nei confronti di Coyote, che fu subito definito Ladro. “Ma’ii – gli dissero gli uomini – riprenditi le tue pecore dal cortile e curatene da solo, se farai così noi non ti odieremo più e tu potrai saziarti a tuo piacimento”. “No! No… cari cugini! Che orribile pensiero! Questo non è possibile… io non saprei neanche come fare. E poi, sono sempre in giro e non potrei prendermi cura delle bestie! – rispose Coyote – inoltre, se non ci fossi io a rubarvi le pecore, voi, non dovendovi più prendere cura di loro, diventereste sfaccendati e pelandroni. Vi scongiuro, lasciate che le mie pecore restino nei vostri cortili!”. Questa storia del destino di Coyote spiega perché, a tutt’oggi, Coyote continua a rubare le pecore e a rischiare.