lo scarabeo che caccia l'aquila

mercoledì 9 febbraio 2022

Cinque fratelli ed una sorella

YUPIK ESKIMO Cinque fratelli ed una sorella più giovane sono al centro di questa storia alla quale, come avviene tradizionalmente, è stato dato un titolo informale (le leggende – quilirat - non hanno titolo). Questo è il classico gruppo-famiglia autosufficiente, dove i fratelli cacciano e la sorella si dà da fare con la cacciagione. Il loro ignorare l’esistenza degli altri non li rende presuntuosi dei successi ottenuti e fa del gruppo un modello di moralità ideale. Quando il fratellino si perde vengono aiutati da un mal combinato uomo e da sua nonna che vivono nel grande villaggio dove è stato portato il bambino. Il nipote è il modello da seguire perché incarna il potere e la pazienza, la mansuetudine e il desiderio di vendetta. Per quanto non apertamente maltrattato il nipote è un emarginato: ha abiti ed equipaggiamenti poveri, la sua casa è ai margini del villaggio, e il posto letto vicino alla trafficata porta della qasgiq*. Le sue azioni appaiono come dirette dalla nonna (come quelle del maligno cacciatore dal padre o quelle di Uyivaangaq dalla sorella), ma anche lui sembra avere acquisito alcuni superpoteri. Per esempio, quando si mantiene lontano dalla riva con il kayak, insinuando una qualche forma di isolamento, agisce come chi vuole evitare le pericolose conseguenze che scaturiscono dal contatto fisico fra il mondo reale e quello spirituale. Il fratellino rapito, la nonna e il nipote evocano figure tradizionali delle quliraq, famose dall’Alaska alla Groenlandia: un orfano abusato da tutto il villaggio ma non da un nonno. Per questo, il nipote e la nonna, sono esplicitamente contro il villaggio ed aiutano i fratelli con i quali condividono molte qualità. Il crudele Nukalpiaq (Grande Cacciatore) è pure una figura letterale di questo speciale contesto. Tradizionalmente, infatti, una persona molto potente poteva, in certe circostanze, dominare un villaggio senza temere opposizione. Questa minaccia, nelle quliraq, è personificata da un cacciatore particolarmente crudele, da un uomo fortissimo, o da uno shamano che, alla fine, muore per mano del vendicatore. Questa vendetta è presentata come un gesto virtuoso e di giustizia. La vigliaccheria del Nukalpiaq si svela al villaggio quando ormai sopraffatto, il Grande Cacciatore cerca un tentativo di mediazione con Uyivaangaq. Poi tocca al padre, la “forza” che si nasconde dietro il Nukalpiaq, che Uyivaangaq svergogna presentandogli, con ironia, il corpo esamine del figlio. Alla fine anche il massacro del villaggio è presentato come una virtù: “Ripulirono anche il resto del villaggio…”. Ripulire è la traduzione di una parola che si riferisce all’azione di spolpare con i denti la carne che rimane attaccata alle ossa. Spolpare le ossa dimostra rispetto per la preda: implicitamente, “ripulire” il villaggio è pure un’azione virtuosa. *La tipica qasgiq dei villaggi costieri era una struttura quadrata semisotterranea sorretta da grandi travi di legno. Le travi delle quattro pareti oblique erano ricoperte di zolle e, sulla cima dove si congiungevano, c’era un lucernario fatto di budella. CINQUE FRATELLI ED UNA SORELLA PIU’ GIOVANE Vi racconterò una vecchia storia. Una storia vera che vostro padre ci raccontava sempre quando voi eravate molto piccoli, tanto piccoli. Il tempo era lungo da passare nei freddi inverni che trascorrevamo sulle montagne Ingrissareq. Can’irraq si sdraiava accanto a noi, a letto, al caldo sotto le pelli e raccontava vecchie favole. Questa storia, un fatto accaduto realmente tanto tempo fa, parla di cinque fratelli ed una sorella che abitavano sulla sponda di un fiume. Quel fiume era un grande fiume il cui lungo cammino finiva nell’oceano. I sei fratelli, dall’alto della montagna che sovrastava la loro piccola casa, potevano vedere dove il loro fiume diventava mare. I fratelli vivevano di caccia, isolati dal resto del loro villaggio. Erano dei grandi cacciatori, degli abilissimi cacciatori ma neppure loro sapevano quanto fossero davvero bravi. La solitudine in cui si erano rinchiusi gli impediva di confrontarsi e gareggiare con altri cacciatori. La loro bravura non aveva dunque confronto. Dietro la casa dei sei fratelli c’era anche un piccolo laghetto. Quel lago era la discarica della famiglia. Era in quel lago che finiva tutto l’olio di foca che veniva utilizzato e poi buttato dai cacciatori. Quello specchio d’acqua era diventato così sporco che quasi non si increspava più alla brezza del vento. Quando l’olio diventava cattivo, loro, semplicemente, strizzavano l’otre dell’olio ai pesci. Il lago era la discarica in cui finiva tutto quello di cui i 5 fratelli, indistintamente, dal più piccolo al più grande, non avevano più bisogno. La famiglia era composta da quattro fratelli e da un quinto più piccolo, e da una sorella. Mentre i fratelli più grandi si occupavano della caccia, la giovane sorella si occupava della cacciagione. Non solo. Essa si prendeva cura dei cinque fratelli in tutto e per tutto. Cuciva stivali da acqua per ognuno di loro, cuciva vestiti impermeabili per la caccia con budella di foca e realizzava dei curatissimi arillut, utili guanti senza dita di pelle di pesce. Gioventù bruciata! Oggi non c’è più nessuna donna che si occupa così premurosamente dei propri congiunti! E che cosa mai faceva il piccolo fratello? Ebbene il piccolo aveva il compito di servire a tavola i suoi fratelli e di sparecchiare una volta che il pasto fosse finito. Questo era il suo compito ed il piccolo non mancava mai di svolgerlo. E’ così che passavano i giorni della piccola comunità! E’ proprio così che trascorrevano le giornate dei sei fratelli; da soli, senza conoscere altri uomini e donne. Non mancava nulla alla famiglia. E, quando era il tempo della caccia, il cibo era tanto abbondante da bastare anche nei mesi della neve. Perché quando cacciavano i caribou, ne cacciavano davvero tanti! Oh, erano dei grandi cacciatori! Il bambino usava chiamare il fratello maggiore con un soprannome: Uyivaangaq. Era così che chiamava suo fratello! Ed, ormai, anche gli altri avevano preso l’abitudine di chiamarlo così. Un brutto giorno d’estate, il fratello bambino scomparve. I quattro maggiori lo cercarono senza sosta, in tutti gli angoli della montagna che battevano durante la caccia. Che vergogna! Tanto era il dolore e la vergogna che i quattro smisero di andare a caccia. I giorni passavano senza avere notizie del fratello bambino. I giorni passavano ed i quattro fratelli smisero di uscire anche dalla loro casa. I giorni continuavano a passare ed il dolore e la vergogna diventavano sempre più opprimenti nel cuore dei componenti della famiglia al punto che questi facevano ormai fatica addirittura ad alzarsi dai loro giacigli. Se ne stavano a letto tutto il giorno, con gli occhi chiusi. Sembrava che i quattro uomini fossero caduti in letargo. Si erano arresi! Si erano arresi al loro dolore. Avevano abbandonato le loro armi e si erano fatti travolgere dallo sgomento per la scomparsa del loro fratello bambino. Anche la sorella era addolorata. Molto addolorata… ma lei non smetteva di prendersi cura dei fratelli che le erano rimasti. Lei non si poteva permettere di cadere nel sonno del dolore. Lei doveva prendersi cura dei fratelli che le erano rimasti. L’estate era quasi finita…. E così passò anche l’autunno che annuncia il freddo dell’inverno, il grande freddo. Un giorno di quelli che preannunciava la cattiva stagione, la giovane, che continuava a vegliare sui quattro fratelli addormentati, uscì di casa. Si allontanò appena dalla casa, senza perderla mai di vista. Si allontanò appena, sempre risalendo il corso del fiume, fino a dove l’ansa si allargava rendendo l’acqua più bassa e quasi ferma. Il fiume si allargava al punto che la riva opposta non si vedeva. Il fiume sembrava toccare i piedi della montagna di fronte! La ragazza stette lì, sulla riva del fiume, guardando lo scorrere dell’acqua. Dopo poco però, vide un vecchio e sbrindellato kayak. Era una barca talmente malconcia che entrambe le punte erano rivolte verso l’alto. Un kayak davvero brutto e malconcio. Sopra il kayak c’era un uomo, un uomo malconcio anche lui. Piccolo e brutto, come la sua imbarcazione, ma dagli occhi vispi. Sarebbe potuto essere un vecchio saggio se non avesse avuto quell’aspetto così trasandato! Si, un vecchio saggio, dagli occhi furbi e profondi! Ma come remava male quell’uomo! Un colpo di pagaia e poi una lunga pausa… poi un altro… poi una lunga sosta… quasi non sembrava capace di attraccare. Ed infatti non lo fece. Si avvicinò alla riva dove si trovava la ragazza ma non fece cenno di voler scendere dal suo kayak. “Come va?” chiese l’uomo alla fanciulla che restava immobile a guardarlo “Tutto bene?” La ragazza si abbandonò ad un lungo sfogo. Raccontò della sparizione del suo fratello bambino ed infine del letargo in cui sembravano caduti i suoi fratelli. “Non so cosa sia accaduto ai miei fratelli maggiori. Si sono arresi. Non escono neppure più dalla casa, non si alzano più dal letto. E questo perché sono sopraffatti dal dolore per la scomparsa del mio fratello più piccolo. Lo hanno cercato dappertutto ma non sono riusciti a trovarlo. Sono sconvolti e non riescono più a vivere”. L’uomo dagli occhi furbi non sembrava sorpreso dalle parole della ragazza, non sembrava stupito… sembrava sapere già tutto. Restava immobile sul suo sbrindellato kayak che restava miracolosamente fermo, nonostante la corrente del fiume che continuava a scivolare verso l’oceano. “Tuo fratello è nel villaggio che si trova lassù, verso la sorgente. Questo lo so perché mi è stato riferito da mia nonna. Mia nonna voleva che venissi a riferirtelo ed eccomi qui. Il tuo giovane fratello è lassù nel villaggio verso la sorgente. Un nukalpiaq, un grande cacciatore, lo ha portato via dal vostro affetto e lo ha torturato per tutta l’estate. Lui lo tortura – diceva l’uomo immobile in mezzo alla corrente del fiume – davanti alla gente del villaggio per dimostrare la sua potenza. La sera lo mostra alla gente del villaggio che si raduna nella qasgiq. Il divertimento delle donne e degli uomini è vedere le torture che il grande cacciatore infligge al suo piccolo rapito. Lui lo fa soffrire e mostra a tutti, con orgoglio, la sua capacità di far male…di umiliare”. Il saggio dagli occhi furbi restava immobile ed aspettava di dire la cosa più importante. E la fanciulla aspettava di ascoltarla. “Quando sarà il momento di agire te lo farò sapere; quando mi sarà detto di agire tornerò per riferirtelo; a te e ai tuoi fratelli più vecchi. Loro dovranno procurarsi le armi, tutte quelle che serviranno”. Era tutto. La corrente sotto il vecchio kayak tornò ad avere la sua forza e così, senza quasi essersene accorto, l’uomo tornò ad usar male la sua pagaia. Se ne andò da dove era venuto, senza avere mai attraccato. La ragazza corse verso la casa ed una volta giunta cominciò a scuotere i fratelli dal loro torpore. “Come siete piccoli! – urlò loro per svegliarli – Vostro fratello è stato rapito la scorsa estate da un nukalpiaq che lo ha portato nel suo villaggio per torturarlo di fronte alla sua gente, così da ricordare a tutti la sua forza ed il suo disprezzo. E il suo villaggio si trova alla sorgente del fiume”. Quello che aveva pensato e temuto il più grande dei fratelli era dunque vero. Qualche tempo addietro, il fratello maggiore lo aveva detto. “E’ sempre stato così, non è certo la prima volta che quel malvagio si prende qualcuno da un altro villaggio per torturarlo; per mostrarlo alla gente mentre lo fa soffrire – disse il fratello maggiore – Lui fa così perché è crudele. E’ fatto così. Ma, quando l’uomo tornerà per avvisarci, io andrò a salvare mio fratello”. E così, senza attendere altro, rinvigoriti dalla speranza e dal pensiero della vendetta, i quattro giovani cacciatori si rimisero in piedi per prepararsi alla battaglia. Cambiarono le pelli ai loro kayak e costruirono nuove armi. Bastarono poche ore e tutto fu pronto per l’incursione nel villaggio che si trovava alla sorgente del fiume. Tutto era pronto per andare a riprendere il fratello bambino. Non tanti giorni dopo – era ancora in procinto di arrivare il grande freddo dell’inverno – ecco che torna a farsi vedere lo sbrindellato kayak. Scende dalla sorgente del fiume e, anche questa volta, si ferma la corrente sotto le pelli del suo kayak. Ancora una volta è la fanciulla ad incontrare l’uomo dagli occhi furbi; quello che darà il segnale. Non attracca ma si fa più vicino alla sponda. “Molto bene. Devi dire ai tuoi fratelli che devono venire domani. Domani mattina presto. Io sarò su quella riva del fiume, poco più lontano. Vedi? lassù, dove una sponda comincia ad allontanarsi dall’altra e comincia il pantano”. Un pantano? La cosa strana è che il villaggio non era lontanissimo dalla casa dei sei fratelli ma questi non erano mai arrivati fino alle sorgenti del fiume e non sapevano che lassù ci fosse un pantano. “Io li aspetterò lì e, nel frattempo, approfitterò per pescare con la rete”. L’uomo non aveva altro da dire e la corrente sotto le pelli del suo kayak cominciò a spingere la vecchia e malridotta imbarcazione. La ragazza, allora, cominciò a correre per avvisare i suoi fratelli. I fratelli erano a casa che aspettavano ansiosi. Lei corse da loro e raccontò l’incontro con l’uomo dagli occhi furbi. “Ma come potete dormire la notte?” disse infine la fanciulla. Restarono svegli ad ascoltare le raccomandazioni della loro sorella e, appena spuntato il sole, misero in acqua i loro kayak e risalirono la corrente fino alla grande ansa del fiume dove inizia il pantano. Non ci volle molto per raggiungere la loro guida che ammazzava il tempo pescando con la rete. Con lui proseguirono il viaggio fino a che non raggiunsero il villaggio verso la sorgente. Un enorme villaggio; così grande che i giovani non ne avevano mai visto uno uguale. Giunti a destinazione la loro guida li condusse nella sua casa. Una vecchia e malandata casa che si trovava ai margini del villaggio, lontano dalle altre case. Nessuno s’accorse del loro arrivo, era decisamente troppo presto per trovare qualcuno in giro. Entrati in casa si trovarono alla presenza di una matrona piuttosto anziana: la nonna. “Siete arrivati finalmente! avanti! sedetevi!” La vecchia nonna parlava con voce autoritaria ed i fratelli ubbidirono. “Ora aspettate che si faccia notte; allora sarà il momento giusto per andare alla qasgiq a vedere vostro fratello”. I fratelli non erano contenti di perdere ancora tempo aspettando con le mani in mano. Il loro sangue giovane era desideroso di vendetta ed invitava all’azione senza altro indugio. Ma, lo sguardo della vecchia non ammetteva repliche; e così, seppure smaniosi, si rassegnarono ad aspettare che la notte scendesse sopra al cerchio delle tende. Nessuno del villaggio andò a far visita alla nonna ed al nipote. Tutti gli abitanti si tenevano ben lontani dalla loro sgangherata casa. Così i quattro giovani rimasero nascosti da occhi indiscreti e sospetti. Il sole tramontò. Il nipote cominciò a raccontare: “Io ho visto quel che succede nella qasgiq, nella casa del grande cacciatore. In questo momento stanno cominciando il trattamento. Ascoltate bene cosa vi dice mia nonna”. E la nonna cominciò a spiegare tutto quello che il grande cacciatore stava per fare al fratello bambino. Non appena la nonna prese a descrivere le torture inflitte al piccolo, i fratelli si alzarono tutti in piedi pronti ad uscire dalla casa e dare battaglia. Senza neppure attendere che la vecchia donna avesse finito. Ma, con voce sarcastica e tagliente, la nonna spezzò l’ardore dei giovani che tornarono a sedersi. Quello era il tempo di ascoltare e non di agire. “Aspettate ancora un poco!” Tornò il silenzio. Il nipote rimaneva immobile, disinteressato a quanto accadeva nella sua casa. Lo sguardo dell’uomo era rivolto all’esterno, verso la casa del grande cacciatore. Finalmente si fece buio. “Indossate i miei abiti e andate ma ricordatevi di guardare solo dal lucernario – disse la nonna - Per primo deve salire il più vecchio dei fratelli, poi, in ordine d’anzianità, gli altri. Se non farete come vi ho detto vi scopriranno, capiranno che siete stranieri. Guardatevi, soprattutto, da quelli che sono rimasti fuori, da coloro che spingono per entrare”. I consigli della nonna erano finiti. Era dunque tempo di agire. Solo a quel punto i quattro uomini si avviarono verso la qasgiq; man mano che s’avvicinavano sentivano aumentare le risate della folla. Tanta gente era assiepata intorno alla qasgiq, al punto che non c’era più spazio per accogliere gli spettatori che mostravano interesse allo spettacolo. Tutti ridevano, ridevano di gusto. E si divertivano molto anche quelli che sbirciavano dal lucernario. Uyivaangaq trovò il modo per arrampicarsi e guardare da quella piccola finestrella. Si fece strada tra gli altri che facevano la coda per guardare. E questo era decisamente pericoloso. Avrebbe potuto farsi notare dalla gente proprio per la sua agilità. Infatti, per non essere scoperto come straniero, il giovane era stato travestito da “nonna”. Un grande cacciatore travestito da vecchia, con un abito che lo fasciava stretto. La veste era forse anche più stretta degli stivali che calzava. Il travestimento era completo. Il nukalpiaq aveva anche un bastone! Il bastone e la cuffia della vecchia nonna! Che tristezza faceva la vista di quella vecchia nonna che sbirciava aggrappata al lucernario! Infatti, sembrava proprio una nonna che aspettava di assistere alle imprese del grande cacciatore! Qualcuno, vedendo la mano della vecchia appoggiata al bordo del lucernario, disse: “Che polso grande che hai nonna!”. Finalmente riuscì a vedere quello che accadeva dentro la casa. Oh! Lì dentro! Lì dentro c’era questo… IL crudele nukalpiaq era disteso sulla panca facendo finta di dormire. Il suo posto era il posto migliore, il più riparato di tutta la casa. Proprio ai piedi del letto, davanti a lui, c’era un enorme pitale di urina stantia, pieno fino all’orlo. Proprio accanto a quell’orrido pitale c’era la scapola di una balena polare che aveva nel mezzo un buco dai bordi sagomati come denti taglienti. Denti affilati e taglienti che, solo a vederli, facevano immaginare dolorose e superficiali, brucianti ferite. Dalla parte opposta di questo “teatrino” organizzato ad arte, lontano dalla gente, c’era un vecchio uomo, comodamente seduto. Una luce viva illuminava tutta la qasgiq, segno che lo spettacolo stava per iniziare. Infatti, il vecchio uomo, dall’altra parte della stanza disse: “Figlio mio, che fai lì senza far niente, fai qualcosa di divertente”! A queste parole il nukalpiaq, lentamente, con studiata lentezza, si rizzò sulla schiena e scese dal letto. Ai piedi del letto, ai suoi piedi, appena coperto da una piccola e malridotta pelle di caribou, c’era qualcosa di vagamente umano. Un piccolo mucchietto d’ossa. Il malvagio cacciatore sfilò la coperta e lasciò alla vista della gente, che si era radunata dentro ed intorno alla casa, quella misera creatura, quel poveraccio! Su di lui non c’era più carne, era coperto da piaghe e graffi: ovunque piccole ferite, rosse, ancora ben visibili. Su di lui non c’era rimasta carne, era solo una piccola cosa nuda. Che vergogna! Il nukalpiaq prese uno straccio, lo intinse nell’urina e ci bagnò il corpo del bambino, per acuirne il dolore alle ferite. “Aaaahhhh!” Questo fu il primo suono pronunciato dal fratello bambino. La qasgiq era affollata al punto che solo l’entrata sotterranea era rimasta libera. Era solo l’inizio. Il cacciatore prese la scapola di balena polare. Il corpo del bambino entrava appena nel buco dentato. Il crudele cacciatore ce lo infilò svariate volte lasciando la testa fuori dal buco, per impedirgli di difendersi. Una volta liberato da questa dolorosa tortura il fratello bambino cominciò a parlare. E quasi urlò, al punto che anche i fratelli che erano rimasti fuori dalla casa e che non lo vedevano, udirono le sue parole. “Ah! mio Uyivaangaq, se mi vedessi ora capiresti quanto sono disgraziato! Ah! mio Uyivangaq, se mi vedessi ora!” Il piccolo certo non poteva sapere che suo fratello maggiore, questa volta, era proprio lì e stava osservando la sua miserabile condizione. Ma il carnefice non si riteneva ancora soddisfatto. Il volto scolpito in una morsa di crudeltà lo rendeva simile alla pietra. “Ma che avrai da lamentarti così tutte le volte?” disse alla sua vittima prima di riprendere nelle mani la sua arma di tortura per infliggere un nuovo ingiusto castigo. Il fratello maggiore, ancora sconvolto per quanto visto e per quanto udito – non avrebbe mai potuto immaginare tutto questo - si abbandonò alla rabbia. In un impeto di violenza ruppe addirittura il bordo del lucernario a cui era appoggiato. Fu proprio il rumore, quel crack dal lucernario, a indirizzare l’attenzione di tutti i presenti verso di lui. Lo straniero fu così scoperto. Ma la furia di Uyivaangaq, ormai, non si poteva fermare. Si alzò di scatto dalla sua posizione accovacciata e urlò verso i suoi fratelli minori: “Tutti a casa della nonna”. Quando rientrò in casa non mostrò alcun rispetto verso il vecchio abito della nonna. Si sfilò il suo travestimento con rabbia, senza nemmeno slacciarlo. Inevitabilmente l’abito si strappò. La nonna subito si risentì della poca attenzione del giovane e si lamentò vivacemente: “Vergognati! hai rovinato il mio vecchio vestito”. Il giovane neppure le diede retta e continuò ad agitarsi, rapito da una rabbia incontenibile. “Alla qasgiq” gridò e tutti i fratelli, abbandonato il travestimento, indossarono i loro vestiti e si lanciarono fuori dalla casa della nonna che, poverina, continuava a lamentarsi a causa del danno al suo vecchio vestito. E senza che nessuno si curasse di lei. A fare da guida ai quattro fratelli, ancora una volta, l’uomo dagli occhi furbi. Il gruppo si diresse alla casa del crudele cacciatore. Quando il nipote giunse in quella casa, superando la calca che si affollava all’ingresso della qasgiq, tutti ammutolirono. Lui, senza badare a quel silenzio, si accovacciò su una panca, in fondo alla stanza. Uyivaangaq che gli stava alle calcagna, sedette al suo fianco; alla stessa maniera, in ordine d’età, fecero gli altri fratelli. Il silenzio non veniva rotto da alcuno dei presenti al punto che il nukalpiaq se ne tornò a dormire, mostrando di non gradire l’attenzione che la folla aveva concesso al nipote. La gente continuava ad accalcarsi. I quattro fratelli erano armati di clave. Le avevano foggiate durante i giorni dell’attesa ed il fratello maggiore aveva insegnato ai fratelli minori come usarle. Ancora una volta, fu il vecchio padre del crudele cacciatore a dare avvio allo spettacolo di torture: “Figlio mio! ci sono degli stranieri che sono venuti fino qui per te, non vorrai deluderli? Dai, mostragli qualcosa d’eccitante, falli divertire!”. Ancora con studiata lentezza il figlio cominciò ad alzarsi. E, quando alla fine fu in piedi, con un gesto plateale, sfilò la coperta dal più giovane dei fratelli, come aveva fatto poco prima. Questa volta, Uyivaangaq si alzò di scatto dal suo posto. “Come può un bambino così piccolo soddisfare un omone tanto grosso? Come può un bambino così piccolo divertire una platea così grande? – il fratello maggiore si fece minaccioso - Fallo con me lo spettacolo e ci sarà divertimento per tutti, vedrete che gran divertimento! Aargh!” Uyivaangaq si lanciò contro il crudele cacciatore. Con la forza del suo furore riuscì ad afferrare per i fianchi il nukalpiaq, nonostante la sua corporatura fosse più esile. Il combattimento fu durissimo. L’uno si aggrappò ai vestiti dell’altro, in cerca della presa migliore. Il fratello maggiore ebbe la meglio. Visto il cattivo esito della lotta, il crudele e vigliacco cacciatore cercò di chiedere clemenza al suo avversario. “Aspetta un momento… ragioniamo! Asp…” Ma Uyivaangaq strinse ancora più forte ed improvvisamente, dalla bocca del suo ospite, sgorgò un fiotto di sangue. Uyivaangaq, come si fa in guerra, trascinò il corpo ormai esanime del suo avversario davanti al vecchio padre. “Guardalo! E pensare che ne avevi una così grande considerazione, finché è stato tuo figlio!” E lo distese sopra al padre, premendolo, come se volesse fondere i due corpi, padre e figlio insieme. Ora avevano anche loro qualcosa di cui lamentarsi! Mentre il fratello maggiore portava a compimento la vendetta nei confronti del nukalpiaq, un altro fratellino bloccò l’uscita, anche a coloro che, presagendo la furia non esaurita degli stranieri, volevano solo andarsene, cosicché nessuno potesse portare dentro le armi. “Esseri schifosi come potete abusare dei bambini!” urlava inferocito Uyivaangaq mentre, con la clava, ne stendeva un paio alla volta. La vendetta dei quattro fratelli si scatenò prima su tutti i presenti poi su quanti avevano dimostrato interesse allo spettacolo, ma che erano rimasti fuori dalla casa del crudele cacciatore. Ripulirono anche il resto del villaggio. Eh! Una volta compiuta la loro vendetta, finalmente poterono riposarsi. I quattro fratelli tornarono nella casa del nipote, dopo essersi riuniti al loro fratello bambino. Nella casa trovarono la nonna così come l’avevano lasciata. La vegliarda, infatti, continuava a lamentarsi del suo vecchio abito, quello che, sfilandoselo senza slacciarlo, il fratello maggiore aveva strappato. I fratelli sarebbero voluti rimanere molto più a lungo per mostrare la grande riconoscenza che loro provavano nei confronti di quelle due persone. Ma, alla fine, dovettero ripartire. Però, promisero che sarebbero ritornati a visitare la nonna e il nipote, ai quali si sentivano sinceramente molto grati. La nonna, prima che partissero, ordinò che il giovane fratello fosse disteso ai suoi piedi. Allora si rivolse al più giovane della famiglia di Uyivaangaq e, servendosi della sua stessa saliva, lo ristabilì nelle condizioni originali. Quale medicina avrà mai potuto compiere quel miracolo? Lei fece qualcosa, qualche strano trattamento, che fece sparire le ferite che costellavano il corpo del bambino. Un gesto che meravigliò i quattro fratelli e che non fece che accrescere la grande riconoscenza che loro provavano nei confronti della nonna e del nipote. Il giorno dopo i cinque fratelli tornarono a casa, dove si trovava ad attenderli la sorella. Quando i fratelli raccontarono quanto accaduto nel villaggio alle sorgenti del fiume la sorella provò anche lei una grande riconoscenza per quei due anziani che si trovavano nel villaggio alle sorgenti del fiume. Non molti giorni dopo, con ancora il freddo dell’inverno alle porte, i cinque fratelli tornarono a far visita al nipote e alla nonna. Quando tornarono indietro, verso la loro casa, discendendo il fiume, non tornarono da soli. Nonna e nipote erano discesi con loro. Si! Se li erano portati con loro. Perché così tanto erano riconoscenti!

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